Duole dirlo, ma in questo tragico momento gli aiuti economici sino ad ora messi in campo dall’Esecutivo in favore dell’imprenditoria (e quindi, dell’intero nostro sistema economico) non sembrano reggere il confronto con quelli adottati dai nostri vicini alleati, seppur entrati in guerra successivamente.
Si, in guerra. Perché di questo si tratta. Lo ha chiaramente (e finalmente) annunciato anche “San Mario”. Ed altrettanto candidamente ha lasciato intendere che in guerra tutto è permesso. Al suo esaurirsi, verrà il momento per sanare, riparare ed, ovviamente, ripartire.
E se così stanno le cose, allora non c’è tempo da perdere.
Perché essere cauti, in questo momento, non dare fondo alle nostre più ataviche riserve e risorse sarebbe un errore imperdonabile, le cui nefaste conseguenze, oltre che su noi stessi, graverebbero sulle nostre future generazioni, per decenni.
La scelta della “misura premiale”, colonna portante della strategia emergenziale sin qui adottata – ad esempio con rinvii di versamenti contributivi, erariali, le misure di cassa integrazione in favore dei dipendenti e quant’altro – deve ritenersi inadeguata, oltre che alle potenzialità devastanti del nostro comune virulento nemico, anche alle più corpose misure adottate dagli altri paesi membri (Germania e Francia, tra tutti).
Misure concrete quest’ultime, liquide, reali, che consentiranno al loro tessuto imprenditoriale di sopravvivere ora dignitosamente e, un giorno, di essere adeguatamente ed immediatamente pronto per la (ri)partenza.
Diversamente, con gli aiuti sino ad oggi visti in Patria, vi è il concreto rischio (questo, si) che le nostre imprese non riusciranno a sopravvivere e, quelle poche che vi riusciranno, se e quando sarà il momento di ripartire, non potranno comunque reggere il confronto con la maggior parte delle imprese europee concorrenti. La concorrenza che quest’ultime saranno infatti in grado di esercitare sulle nostre imprese sarà implacabile. Dubbi certamente sovvengono, a questo punto, sui riflessi di tali comportamenti e sulla liceità di tale concorrenza.
E’ quindi necessaria una strategia europea comune, condivisa e coordinata, quale guida di un sistema economico continentale che sia in grado di riequilibrare le conseguenze, oltre che dei danni provocati dalla pandemia, anche dell’entità degli aiuti che ogni stato membro ha ritenuto o è riuscito a mettere in campo. Diversamente il sistema economico risulterebbe inevitabilmente corrotto e compromesso.
Ma non avere una strategia comune e condivisa, tra l’altro, esporrebbe il sistema economico europeo all’inevitabile supremazia degli altri sistemi economici di pari grado: quello americano e quello asiatico, i quali anch’essi fanno parte di un immenso gruppo imprenditoriale, con infinite capacità di sviluppo, ma avvantaggiato dalla presenza di una strategia unitaria, coordinata ed organizzata.
E’ disarmante la prepotenza con cui concetti di chiara ispirazione micro economica, tra i quali ad esempio quello relativo all’organizzazione aziendale, ormai brocardo del nostro ordinamento civile e penale, trovino appiglio anche in sistemi economici di dimensioni continentali. Un sistema economico non organizzato e coordinato è dunque un sistema destinato ad auto annientarsi nel tempo, qualunque sia la sua dimensione.
Se non vogliamo arrivare a questo, nel silenzio della nostra controllante “Europa”, è bene che, senza timori, l’azione di sostegno al tessuto imprenditoriale nostrano si faccia autonomamente più concreta e, soprattutto, più liquida. Permangano pure le misure premiali, certo, ma che siano supportate da interventi diretti ed immediati, di reali iniezioni di liquidità, che consentano ai nostri imprenditori (purché meritevoli) di superare il momento e non disperdere quanto di buono sinora costruito.
Tutto ciò riguarda l’oggi, ma non è abbastanza. Il nostro sguardo dev’essere positivamente posato su un orizzonte più lontano e lucente. Dobbiamo dunque pensare anche a come ripartire quando gli eventi lo consentiranno. Farsi trovare impreparati per quel momento sarà altrettanto economicamente devastante.
Abbiamo bisogno, ora più che mai, di rivedere il nostro sistema economico interno, caratterizzato dall’acclarata capacità di disperdere valore, a cominciare – come detto al convegno di Confindustria Giovani Capri 2019 – dal nostro sistema fiscale, ad esempio, soprattutto in un momento di grave crisi d’impresa come quello attuale, consentendo alle imprese di far fronte all’onere erariale calcolato su ricavi maturati secondo il principio della cassa ed abbandonare, solo fiscalmente, l’annoso principio della competenza. Perché il primo requisito di una tassazione equa è sicuramente quello della tempestività: pagare le tasse solo nel momento in cui il ricavo è incassato. Questo darebbe conforto alle nostre imprese consentendo loro un ampio respiro, in un momento in cui anche la stessa aria sembra venire meno.
E solo allora potranno trovare giustificato ingresso sanzioni e maggiorazioni per punire e reprimere l’evasione qualora dovesse insistere ancora. Quelle stesse sanzioni che, con il principio della competenza, stanno inutilmente soffocando gran parte delle nostre imprese, le quali, per carenza di liquidità, non sarebbero comunque in grado di onorare. Potrebbe sembrare un discorso utopistico, ma non lo è affatto, così come l’invito ad espandere il nostro debito pubblico, a beneficio dell’intero sistema economico. Espandere il debito pubblico per aumentare la redditività delle imprese significa, nel futuro, diminuire lo stesso debito pubblico.
Abbiamo sempre avuto le competenze per fare tutto questo, adesso abbiamo anche il tempo per tornare sui nostri passi e liberarci di ciò che ha, nel passato, appesantito le nostre imprese e, con esse, la nostra economia, costringendola a sforzi enormi per la sopravvivenza in un mercato intollerante, quale quello europeo, e spietato, quale quello mondiale.