di Emanuele D’Innella e Alessandro Bigerna
In questo particolare momento storico ed in forza della potenza letale del virus che sta imperversando nel mondo intero, le imprese sono chiamate ad adottare ogni misura idonea a prevenire la diffusione del contagio all’interno dell’azienda ma altresì per evitare che, da questa, si propaghi all’esterno con l’incontenibile velocità a cui purtroppo ci ha sinora abituati.
Un’ulteriore prova, per coloro i quali avessero ancora dubbi, della funzione sociale che l’impresa oggi assolve nei confronti del territorio che la circonda ed ospita.
Inevitabile, in tale ambito, risulta l’accostamento tra questa problematica e la normativa in tema di responsabilità amministrativa delle società ai sensi del D.Lgs. 231/2001 ed, in particolare, alle previsioni contenute nell’art. 25 septies rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”.
Il richiamato articolo prevede sanzioni di natura pecuniaria qualora il reato sia stato commesso in violazione degli obblighi indicati dal D.Lgs. 81/2008 (tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) ed ancora, in caso di condanna, sanzioni di natura interdittiva, purché lo stesso sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Questo preciso e completo corollario di norme oggi non è più sufficiente ed infatti si è dovuto arricchire di ulteriori adempimenti, di natura collaborativa tra il personale dipendente ed il datore di lavoro, al fine di mitigare il rischio di contagio all’interno dell’azienda ed evitare che, da polo produttivo, questa muti in focolaio epidemiologico.
A metà marzo è stato infatti siglato un protocollo tra sindacati, imprese e Governo, composto da 13 punti, che prevedono obblighi sia a carico dei dipendenti che a carico dei datori di lavoro, ora più che mai indispensabili per poter riavviare o continuare l’attività aziendale e farlo in tutta sicurezza.
Ad esempio, è fatto obbligo al dipendente di non recarsi al lavoro con febbre superiore a 37.5° o altri sintomi influenzali, di avvisare il datore di lavoro e lasciare senza indugio i locali aziendali qualora i medesimi sintomi si dovessero presentare successivamente all’ingresso in azienda o si abbiano avuti contatti con persone sicuramente infette, nonché di rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda. Inoltre, una maggior attenzione all’igiene personale, anche attraverso gli strumenti che il datore di lavoro dovrà mettere a disposizione, è fortemente raccomandata.
Al contempo, il datore di lavoro, dovrà informare tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda, sulle disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliants informativi; potrà sottoporre il personale dipendente al controllo della temperatura corporea, vietando l’ingresso ed isolando colori i quali risultino avere una temperatura superiore a 37.5°; dovrà prevedere specifiche procedure d’ingresso per il personale esterno (fornitori, manutentori, addetti alle pulizie..) ai quali sarà fatto obbligo di rispettare le regole aziendali; dovrà garantire una distanza tra i lavoratori di almeno un metro e, ove non possibile, garantire agli stessi gli strumenti di protezione individuali (mascherine, guanti, camici protettivi..) adatti alle esigenze lavorative; dovrà contingentare l’accesso agli spazi aziendali comuni (mensa, bar, locali spogliatoi…), onde evitare il più possibile contatti ed assembramenti e ridurre al minino gli spostamenti del personale all’interno dell’azienda; dovrà prevedere una pulizia dei locali aziendali quotidiana ed una sanificazione periodica degli stessi.
Da ultimo, il protocollo individua la corretta condotta che i datori di lavoro dovranno assumere nella gestione di un caso sintomatico: ferma la responsabilità, lasciata al singolo lavoratore, di comunicare all’ufficio del personale la presenza di sintomi compatibili con l’infezione da Covid-19, una volta assolto tale onere, si dovrà procedere al suo isolamento e a quello degli altri lavoratori presenti nei locali. L’azienda dovrà avvertire immediatamente le Autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il Covid-19 forniti dalla Regione o dal ministero della Salute e collaborerà per la definizione degli eventuali contatti stretti.
Ne consegue che l’azienda dovrà necessariamente dotarsi, anche ai fini della normativa in commento, di nuove procedure che integreranno quelle preesistenti, a cui dovranno essere garantite l’adeguata diffusione e tracciabilità, anche dei conseguenti comportamenti, nel rispetto della normativa stessa.
Come si può agevolmente notare, il protocollo ha dunque previsto obblighi e doveri in capo ad ambo le parti (datore di lavoro e lavoratore) facendo altresì appello al senso di responsabilità e collaborazione comune, al momento uniche armi davvero efficaci contro l’epidemia. Ma probabilmente neppure queste misure saranno purtroppo sufficienti ad evitare il diffondersi dell’epidemia, né all’interno dell’azienda, né fuori da essa.
A testimonianza di quanto detto, si prenda il caso degli Ospedali. I tanti decessi che imperversano infatti presso la categoria dei medici,
impegnati in prima linea contro l’odierno nemico e sicuramente (ci si augura) dotati di misure protettive individuali idonee a contenere il contagio, rendono senz’altro più arduo il compito affidato ai datori di lavoro, ossia di prevenire la diffusione del contagio tra i propri dipendenti. Se non riesce in tale nobile intento un ospedale, figuriamoci quante speranze possa avere un’azienda commerciale, industriale, edile, informatica, tanto per fare alcuni esempi.
Non si deve inoltre dimenticare che l’eventuale contagio potrebbe avere origine esterna all’azienda, per condotte non idonee poste in essere dal lavoratore infettato ovvero dai soggetti esterni, che in qualunque modo abbiano contatti con essa. E cosa può l’azienda contro questa evenienza? Davvero poco.
Perché siamo in presenza di un problema complesso, in quanto complessa risulta l’attività di prevenzione, unica arma contro il contagio e finalità primaria della normativa 231.
L’azienda potrà pertanto solo impegnarsi, facendo appello al già citato senso di responsabilità e solidarietà, a che l’attività si svolga nel rispetto delle misure previste dalla normativa di settore, delle recenti raccomandazioni emanate dall’Istituto Superiore di Sanità e dei protocolli d’intesa siglati con le categorie di lavoratori ed adotti, tempestivamente, tutti gli accorgimenti ed i presidi idonei a evitare la diffusione del contagio.
Sarà quindi necessario che l’impresa, oltre a dotare tutti i lavoratori di strumenti di protezione individuale in ragione del rischio connesso alla specifica attività esercitata sia altresì in grado, nell’ipotesi di contagio, di ricostruire velocemente la sua origine e la cause che hanno agevolato il suo diffondersi (tracciabilità dei comportamenti). Soltanto se emergerà una mancata adozione e corretta applicazione delle procedure e dei protocolli, si potrà allora parlare di responsabilità amministrativa dell’Ente. Ecco quindi che diventa sempre più rilevante l’attività dell’Organismo di vigilanza, al quale si richiederà di verificare che l’attività si svolga nel rispetto delle citate regole.
Più di questo, all’azienda, adesso non si può chiedere.
Infatti, nei limiti della scienza medica all’evidenza di tutti e nella scarsa disponibilità di test rapidi ed economici che consentano la verifica del contagio su larga scala, per non incorrere nella responsabilità amministrativa ai sensi della 231/2001, i datori di lavoro non potranno far altro che attenersi alle regole oggi valide, seppur connotate degli anzidetti limiti.
E’ più che mai opportuno, tuttavia, che non si approfitti di tale situazione per addossare una responsabilità amministrativa in capo alle società atteso che troppe sono le domande scientifiche alle quali non vi è tutt’ora risposta così, come pochi, sono ancora gli strumenti a disposizione della categoria medica, in primis, e degli stessi datori di lavoro poi, per accertare e contenere gli effetti di un possibile contagio.
Non si commetta dunque l’errore di pretendere che la norma giuridica supplisca ai limiti della scienza medica.